Diceva che la felicità amputa le mani agli scrittori ed impedisce loro di produrre quella speciale forma d'arte che viene da uno e parla per cento. Diceva che chi è triste scrive di più, scrive meglio, ha più ispirazione.
Così parlava e mi osservava calmo dietro le grandi lenti che proteggevano i suoi teneri occhi. Aveva grandi mani capaci di accarezzare le corde di una chitarra come se stesse amando una donna, un sorriso gentile e i capelli, lunghi sino alle spalle, un poco arruffati.
Vorrei che potesse ascoltarmi in questo momento, vorrei che potesse consigliarmi; che mi consolasse piano e che appoggiasse di nuovo le sue mani sulle mie, che mi chiedesse che canzone vorrei sentire. Che cosa risponderei? Non ne ho idea, non importa: solo, vorrei che la suonasse con tocchi morbidi e delicati ma allo stesso tempo violenti e rapidi, lui e la sua chitarra come fossero una cosa sola, il suo sguardo concentrato ed i suoi muscoli tesi, come se stesse facendo l'amore col mio corpo mentre io, in un angolo, sto ferma a guardare.