Ci sono entrata, lo sai, nella tua ex
scuola. Pavimenti in legno rovinato, stanzoni da caserma comunista,
enormi finestre e muri bianco sporco. Come se non bastasse, ho
sentito la campanella suonare ben tre volte, che poi è il numero
preciso delle nostre uscite e, volendo dirla tutta, dei tuoi
tatuaggi. Dei tuoi piercing, anche, che ora però non metti più.
Che effetto mi ha fatto, non saprei
dire. Mi ha tolto il respiro, come una palla di neve in pieno volto
quando sei bambino. Anneghi nel bianco, nel gusto farinoso che ti
entra in bocca, nel freddo che ti riempie le narici.
Io sono annegata nel verde del parco
circostante, nella triade bianco-blu-rossa ripetuta ovunque. Oh,
anche nel parquet degli anni trenta. Negli schienali duri delle sedie
del teatrino. Nelle panche basse. Nei soffitti alti. Nel cielo grigio
e nella temperatura sottozero.
Chissà cosa stai facendo ora. A che
pensi? Me lo dici?
Sono le cinque del mattino e ci sono
solo strade sperse nella steppa che ci separano, incroci vuoti,
cartelloni pubblicitari scritti a mano e mossi dal vento.